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“La solita tragedia dell’individuo che non si adegua, che non si rassegna, che pensa con la propria testa, e per questo muore ucciso da tutti”
Basterebbero queste poche parole per definire la
storia e la vita di Alekos Panagulis, sarebbero sufficienti queste righe per comprendere la sua essenza, per spiegare la sua fine, per descrivere il suo amore
con Oriana.
Ho appena terminato la lettura di un libro che
so già sarà un libro cardine, un libro svolta per la mia vita ed il mio
pensiero: Un uomo di Oriana Fallaci. È uno scritto difficile da definire, è un
romanzo denuncia, un romanzo di introspezione, la storia di un uomo, di un
popolo, di un amore, di un eroe, la storia di un ideale politico e sociale, di
una speranza, di una lotta. Oriana descrive, in circa 400 pagine la battaglia di Alekos
Panagulis, contro la dittatura greca di Georios Papadopoulos. Ciò che cerca di
ottenere Alekos, con un attentato fallito prima e con tutta la sua vita e
azione politica dopo, è la caduta del “masso
in cima alla montagna”, la caduta del potere tiranno, di quel potere che
sottomette il popolo e lo priva della libertà, che nonostante i governi
cambino è sempre lo stesso.
Non è di certo un caso che il libro si apra con i funerali di Alekos, un eroe
sconfitto, un sognatore tradito dal suo popolo, un uomo che ha sacrificato la
sua vita e il suo amore per un ideale. Un uomo solo che nel giorno della sua
morte viene acclamato come un eroe da quello stesso popolo che aveva tentato
invano di svegliare, e che rivela troppo tardi tutta la sua forza e le sue
possibilità di riscatto. Oriana percorre la vicenda di Alekos, dell’uomo con
cui ha condiviso tre anni di vita tormentata, del compagno che l’ha amata come
gli era possibile amare, dell’eroe che lei ha amato forse più di sé stessa e
che ha seguito e curato quasi come un figlio. Quella di Alekos è una figura
unica, indecifrabile, complicata. Per trent’anni, dopo l’attentato fallito a Papadopoulos,
vive in carcere, è torturato in maniera disumana, condannato a morte e
costretto a vivere in una cella dalle dimensioni di una bara in totale solitudine.
La condanna a morte viene in fine cancellata e Alekos è liberato, liberato
contro la sua volontà, infatti il suo spirito non accetta l’idea di essere
usato dalla dittatura greca come esempio della magnanimità del regime. Il
giorno dopo la sua scarcerazione Oriana è già in Grecia per intervistarlo ed è
così, all’improvviso, al primo incontro, che tra i due nasce un intesa, un
legame indissolubile e profondo che si scoprirà presto amore.
“Lui dovrebbe starsene quieto, almeno per un po', riposare. L’amore non è
riposo quando nasce dai coiti dell’anima può diventare tragedia”. “Non
esageri”. “Non esagero. O forse sì? Noi greci siamo ossessionati dalla
tragedia. Poiché la inventammo, la vediamo ovunque”. “Ma di quale tragedia
parla?!”. “V’è solo un tipo di tragedia e si basa su tre elementi che non
cambiano mai: l’amore, il dolore, la morte”.
A dover riposare è Panagulis appena scarcerato, il coito dell’anima è la
prima intervista tra i due, mentre la tragedia è la premonizione del triste
epilogo della loro storia.
I due si innamorano, e decidono fin da subito di vivere l’uno a fianco
dell’altra. Il don Chisciotte (Alekos) volubile e spinto a imprese sempre
impossibili e il suo Sancho Panza (Oriana) che lo accompagnerà sempre
fedelmente, silenziosamente e docilmente. Il romanzo non è un romanzo d’amore,
la storia tra Oriana e Alekos è sempre presente, è raccontata, senza veli,
senza la volontà di abbellirla, senza che l’autrice e protagonista ne nasconda
i lati più oscuri, più tristi, più imbarazzanti, ma non rappresenta il fulcro
della narrazione. Il centro del racconto, come d’altra parte suggerisce il
titolo, è l’uomo, il suo coraggio, il suo essere fuori dal comune, il suo
sapersi sacrificare per i propri ideali, il suo essere così meschino ed eroico
al tempo stesso, il suo amare in maniera così sbagliata, così insoddisfacente
ma così vera. Può un uomo infervorato da così alti ideali, con tali idee
rivoluzionarie amare una donna e renderla felice? A questa domanda potrebbe
rispondere solamente lei, Oriana, ma dal romanzo è chiaro come questo amore sia
vero e forte, ma mai davvero felice e sereno. È un amore a metà strada tra la
fiaba e la tragedia. Panagulis è un uomo difficile da capire, difficile da
amare per i suoi eccessi d’umore, per le sue idee assurde. Odiato dai più e
incompreso da tutti.
“Ovunque tu fossi andato, insomma, saresti rimasto l’incatalogabile pianta
che nasce per portare scompiglio nel bosco e quindi va sradicata, estirpata.
Qua o là t’avrebbero eliminato, alla fine. E non per ciò che volevi fare, la
resistenza armata sui monti, gli assalti alle caserme, le stazioni radio per
incitare il popolo alla rivolta: per ciò che eri, per la tua singolarità di
poeta ribelle, libero da qualunque freno, qualunque schema, qualunque tabù, dal
medesimo concetto di lecito e illecito, per la tua irripetibilità di eroe
solitario, aggrappato alla chimere del sogno e dell’immaginazione. Il poeta
ribelle, l’eroe solitario, è un individuo senza seguaci: non trascina le masse
in piazza, non provoca le rivoluzioni. Però le prepara”.
Un uomo complicato, un animo sensibile ed estremo, vicino al quale Oriana
starà fino alla fine, o meglio, fino a quando le sarà possibile.
“Sei stata una buona compagna. L’unica compagna possibile”
È il congedo di Alekos, che saluta per l’ultima volta l’amore della sua vita,
consapevole della morte imminente. Credo che sia in questa frase, nelle parole “L’unica
compagna possibile” che si sintetizza la tragicità del loro amore. Due personalità
forti, spesso in contrasto, due anime alla ricerca della verità, sempre pronte
ad inseguire ciò in cui credono, persone dure, coraggiose che non trovano
nemmeno nel reciproco amore quella pace e tranquillità di cui avrebbero
bisogno. Oriana quasi si annulla per seguire il suo uomo, mette in secondo
piano sé stessa e il suo lavoro, lascia che Alekos la tradisca, la umili e le
faccia violenza in nome di un amore disperato e che oggi definiremmo malato. Un
amore terribile, oscuro, ma l’unico amore che un uomo come Panagulis può provare, un uomo distrutto dalla politica, dall’amore per la sua patria e dai
suoi ideali condivisi solo da pochi. Mi colpisce e mi fa arrabbiare il modo in
cui Oriana si lascia soggiogare da questo sentimento. Ma soprattutto mi trovo a
pensare alla persona di Alekos, e allora, anche se non del tutto riesco quasi a
capirli, lui e Oriana e ad ammirare le loro scelte. Quanti di noi credono così
fortemente in qualcosa da rinunciare volontariamente alla libertà, all’amore o
ad una vita normale pur di ottenerlo? E quanti di noi sarebbero capaci di
mettere da parte sé stessi, il proprio lavoro per star accanto ad un uomo così
complicato e difficile rischiando addirittura la propria vita.
Due scelte, entrambe radicali, entrambe coraggiose. L’amore e l’ideale, l’amore
per l’ideale. Quanto coraggio ci vuole per fare scelte simili?!
Riporto qui sotto alcune delle frasi che più mi hanno colpito
“Negli
abbracci forsennati o dolcissimi non era il tuo corpo che cercavo bensì la tua
anima, i tuoi pensieri, i tuoi sentimenti, i tuoi sogni, le tue poesie. E forse
è vero che quasi mai l'amore ha per oggetto un corpo, spesso si sceglie o si
accetta una persona per la malìa inesplicabile con la quale essa ci investe, o
per ciò che essa rappresenta ai nostri occhi, alle nostre convinzioni, alla
nostra morale; però il veicolo di un rapporto amoroso rimane il corpo e, se
quello non ti seduce, qualcos'altro deve pur sedurti. Il carattere, ad esempio,
il modo di vivere o di comportarsi. E col tempo avevo scoperto che neanche il
tuo carattere mi piaceva molto. [...] Ma allora perché avevo avuto
quell'impulso di correrti dietro, di abbracciarti, sentire i tuoi baffi contro
la mia guancia, perché ora sentivo il bisogno di raschiarmi la gola e
ricacciare indietro le lacrime”?
“Dire
che il popolo è sempre vittima, sempre innocente, è un'ipocrisia e una menzogna
e un insulto alla dignità di ogni uomo, di ogni donna, di ogni persona. Un
popolo è fatto di uomini, donne, persone, ciascuna di queste persone ha il
dovere di scegliere, di decidere per se stessa; e non si cessa di scegliere, di
decidere, perché non si è né generali né ricchi né potenti”.
“Ti
amavo, perdio. Ti amavo al punto di non poter sopportare l'idea di ferirti pur
essendo ferita, di tradirti pur essendo tradita, e amandoti amavo i tuoi
difetti, le tue colpe, i tuoi errori, le tue bugie, le tue bruttezze, le tue
miserie, le tue volgarità, le tue contraddizioni, il tuo corpo con le spalle
troppo tonde, le sue braccia troppo corte, le sue mani troppo tozze, le sue
unghie strappate”.
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