martedì 8 gennaio 2013

"Un uomo" il coraggio, l'amore, la tragedia


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“La solita tragedia dell’individuo che non si adegua, che non si rassegna, che pensa con la propria testa, e per questo muore ucciso da tutti”

 Basterebbero queste poche parole per definire la storia e la vita di Alekos Panagulis, sarebbero sufficienti queste righe per comprendere la sua essenza, per spiegare la sua fine, per descrivere il suo amore con Oriana.
Ho appena terminato la lettura di un libro che so già sarà un libro cardine, un libro svolta per la mia vita ed il mio pensiero: Un uomo di Oriana Fallaci. È uno scritto difficile da definire, è un romanzo denuncia, un romanzo di introspezione, la storia di un uomo, di un popolo, di un amore, di un eroe, la storia di un ideale politico e sociale, di una speranza, di una lotta. Oriana descrive, in circa 400 pagine la battaglia di Alekos Panagulis, contro la dittatura greca di Georios Papadopoulos. Ciò che cerca di ottenere Alekos, con un attentato fallito prima e con tutta la sua vita e azione politica dopo, è la caduta del “masso in cima alla montagna”, la caduta del potere tiranno, di quel potere che sottomette il popolo e lo priva della libertà, che nonostante i governi cambino è sempre lo stesso.
Non è di certo un caso che il libro si apra con i funerali di Alekos, un eroe sconfitto, un sognatore tradito dal suo popolo, un uomo che ha sacrificato la sua vita e il suo amore per un ideale. Un uomo solo che nel giorno della sua morte viene acclamato come un eroe da quello stesso popolo che aveva tentato invano di svegliare, e che rivela troppo tardi tutta la sua forza e le sue possibilità di riscatto. Oriana percorre la vicenda di Alekos, dell’uomo con cui ha condiviso tre anni di vita tormentata, del compagno che l’ha amata come gli era possibile amare, dell’eroe che lei ha amato forse più di sé stessa e che ha seguito e curato quasi come un figlio. Quella di Alekos è una figura unica, indecifrabile, complicata. Per trent’anni, dopo l’attentato fallito a Papadopoulos, vive in carcere, è torturato in maniera disumana, condannato a morte e costretto a vivere in una cella dalle dimensioni di una bara in totale solitudine. La condanna a morte viene in fine cancellata e Alekos è liberato, liberato contro la sua volontà, infatti il suo spirito non accetta l’idea di essere usato dalla dittatura greca come esempio della magnanimità del regime. Il giorno dopo la sua scarcerazione Oriana è già in Grecia per intervistarlo ed è così, all’improvviso, al primo incontro, che tra i due nasce un intesa, un legame indissolubile e profondo che si scoprirà presto amore.

“Lui dovrebbe starsene quieto, almeno per un po', riposare. L’amore non è riposo quando nasce dai coiti dell’anima può diventare tragedia”. “Non esageri”. “Non esagero. O forse sì? Noi greci siamo ossessionati dalla tragedia. Poiché la inventammo, la vediamo ovunque”. “Ma di quale tragedia parla?!”. “V’è solo un tipo di tragedia e si basa su tre elementi che non cambiano mai: l’amore, il dolore, la morte”.

A dover riposare è Panagulis appena scarcerato, il coito dell’anima è la prima intervista tra i due, mentre la tragedia è la premonizione del triste epilogo della loro storia.
I due si innamorano, e decidono fin da subito di vivere l’uno a fianco dell’altra. Il don Chisciotte (Alekos) volubile e spinto a imprese sempre impossibili e il suo Sancho Panza (Oriana) che lo accompagnerà sempre fedelmente, silenziosamente e docilmente. Il romanzo non è un romanzo d’amore, la storia tra Oriana e Alekos è sempre presente, è raccontata, senza veli, senza la volontà di abbellirla, senza che l’autrice e protagonista ne nasconda i lati più oscuri, più tristi, più imbarazzanti, ma non rappresenta il fulcro della narrazione. Il centro del racconto, come d’altra parte suggerisce il titolo, è l’uomo, il suo coraggio, il suo essere fuori dal comune, il suo sapersi sacrificare per i propri ideali, il suo essere così meschino ed eroico al tempo stesso, il suo amare in maniera così sbagliata, così insoddisfacente ma così vera. Può un uomo infervorato da così alti ideali, con tali idee rivoluzionarie amare una donna e renderla felice? A questa domanda potrebbe rispondere solamente lei, Oriana, ma dal romanzo è chiaro come questo amore sia vero e forte, ma mai davvero felice e sereno. È un amore a metà strada tra la fiaba e la tragedia. Panagulis è un uomo difficile da capire, difficile da amare per i suoi eccessi d’umore, per le sue idee assurde. Odiato dai più e incompreso da tutti.

“Ovunque tu fossi andato, insomma, saresti rimasto l’incatalogabile pianta che nasce per portare scompiglio nel bosco e quindi va sradicata, estirpata. Qua o là t’avrebbero eliminato, alla fine. E non per ciò che volevi fare, la resistenza armata sui monti, gli assalti alle caserme, le stazioni radio per incitare il popolo alla rivolta: per ciò che eri, per la tua singolarità di poeta ribelle, libero da qualunque freno, qualunque schema, qualunque tabù, dal medesimo concetto di lecito e illecito, per la tua irripetibilità di eroe solitario, aggrappato alla chimere del sogno e dell’immaginazione. Il poeta ribelle, l’eroe solitario, è un individuo senza seguaci: non trascina le masse in piazza, non provoca le rivoluzioni. Però le prepara”.


Un uomo complicato, un animo sensibile ed estremo, vicino al quale Oriana starà fino alla fine, o meglio, fino a quando le sarà possibile.

“Sei stata una buona compagna. L’unica compagna possibile”

È il congedo di Alekos, che saluta per l’ultima volta l’amore della sua vita, consapevole della morte imminente. Credo che sia in questa frase, nelle parole “L’unica compagna possibile” che si sintetizza la tragicità del loro amore. Due personalità forti, spesso in contrasto, due anime alla ricerca della verità, sempre pronte ad inseguire ciò in cui credono, persone dure, coraggiose che non trovano nemmeno nel reciproco amore quella pace e tranquillità di cui avrebbero bisogno. Oriana quasi si annulla per seguire il suo uomo, mette in secondo piano sé stessa e il suo lavoro, lascia che Alekos la tradisca, la umili e le faccia violenza in nome di un amore disperato e che oggi definiremmo malato. Un amore terribile, oscuro, ma l’unico amore che un uomo come Panagulis può provare, un uomo distrutto dalla politica, dall’amore per la sua patria e dai suoi ideali condivisi solo da pochi. Mi colpisce e mi fa arrabbiare il modo in cui Oriana si lascia soggiogare da questo sentimento. Ma soprattutto mi trovo a pensare alla persona di Alekos, e allora, anche se non del tutto riesco quasi a capirli, lui e Oriana e ad ammirare le loro scelte. Quanti di noi credono così fortemente in qualcosa da rinunciare volontariamente alla libertà, all’amore o ad una vita normale pur di ottenerlo? E quanti di noi sarebbero capaci di mettere da parte sé stessi, il proprio lavoro per star accanto ad un uomo così complicato e difficile rischiando addirittura la propria vita.
Due scelte, entrambe radicali, entrambe coraggiose. L’amore e l’ideale, l’amore per l’ideale. Quanto coraggio ci vuole per fare scelte simili?!




Riporto qui sotto alcune delle frasi che più mi hanno colpito

“Negli abbracci forsennati o dolcissimi non era il tuo corpo che cercavo bensì la tua anima, i tuoi pensieri, i tuoi sentimenti, i tuoi sogni, le tue poesie. E forse è vero che quasi mai l'amore ha per oggetto un corpo, spesso si sceglie o si accetta una persona per la malìa inesplicabile con la quale essa ci investe, o per ciò che essa rappresenta ai nostri occhi, alle nostre convinzioni, alla nostra morale; però il veicolo di un rapporto amoroso rimane il corpo e, se quello non ti seduce, qualcos'altro deve pur sedurti. Il carattere, ad esempio, il modo di vivere o di comportarsi. E col tempo avevo scoperto che neanche il tuo carattere mi piaceva molto. [...] Ma allora perché avevo avuto quell'impulso di correrti dietro, di abbracciarti, sentire i tuoi baffi contro la mia guancia, perché ora sentivo il bisogno di raschiarmi la gola e ricacciare indietro le lacrime”?
“Dire che il popolo è sempre vittima, sempre innocente, è un'ipocrisia e una menzogna e un insulto alla dignità di ogni uomo, di ogni donna, di ogni persona. Un popolo è fatto di uomini, donne, persone, ciascuna di queste persone ha il dovere di scegliere, di decidere per se stessa; e non si cessa di scegliere, di decidere, perché non si è né generali né ricchi né potenti”.

“Ti amavo, perdio. Ti amavo al punto di non poter sopportare l'idea di ferirti pur essendo ferita, di tradirti pur essendo tradita, e amandoti amavo i tuoi difetti, le tue colpe, i tuoi errori, le tue bugie, le tue bruttezze, le tue miserie, le tue volgarità, le tue contraddizioni, il tuo corpo con le spalle troppo tonde, le sue braccia troppo corte, le sue mani troppo tozze, le sue unghie strappate”.



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