Questo
è un articolo che ho scritto qualche mese fa, e che è stato pubblicato sul sito
www.Ecodellevalli.tv, una testata
on-line con la quale collaboro da qualche mese.
Alcune
statistiche, apparse anche sul “Corriere della Sera”, dimostrano che la
violenza domestica, in Italia, rappresenta la prima causa di morte per le donne
tra i 16 e i 44 anni. Nel 2012, le donne uccise da partner, ex-fidanzati, padri
e mariti sono state 122.
Per
definire questo fenomeno in costante crescita, la giurisprudenza ha coniato un
nuovo termine: “femminicidio”. Parola cacofonica, dal suono quasi
sgradevole che identifica l’assassinio
di donne e bambine dagli altri crimini, indicando l’omicidio di una donna “in
quanto donna”, cioè basato sul genere e
non sulla motivazione. Finalmente questi omicidi hanno cessato di essere
definiti “delitti passionali”. Infatti il termine “passionale” è proprio dell’amore, ma non di un amore malato
ed egoista, unico ed esclusivo, come quello che spinge un uomo ad uccidere la
propria compagna pur di non perderla.
L’allarme
oggi parte soprattutto dalle segnalazioni di alcune associazioni come “Casa
delle donne” e “Telefono Rosa”: nel 2012 nel nostro paese è stata uccisa una
donna ogni due giorni, mentre nel 2011 ne veniva assassinata una ogni tre.
Già
questi dati ci danno l’idea della criticità della situazione, che diventa quasi
assurda se evidenziamo il fatto che più del 70% delle vittime aveva in
precedenza contattato le forze dell’ordine, denunciando o esponendo la propria
situazione di maltrattamento. Su 10
uccisioni 7/8 sono precedute da altre forme di violenza, fisica o psicologica.
Appare
a questo punto evidente la corresponsabilità dello Stato, e l’evidente
incapacità di prevenire, proteggere e tutelare la vita delle donne che vivono
diverse forme di discriminazioni e violenze. Pensiamo solo ai tempi lunghissimi
delle procedure penali, al mancato rispetto delle misure di protezione civile e
delle sanzioni, ai ritardi del sistema giudiziario che possono incidere
sull’esito del caso, alla legge di prescrizione, e alla mancanza di
coordinazione tra i giudici dei rami civile, penale e minorile.
Analizzando
i fatti di cronaca, appare evidente che se i copioni di questi assassinii sono
sempre diversi, le motivazioni sono spesso uguali. La colpa della vittima è
quella di aver trasgredito al ruolo ideale di donna imposto dalla tradizione
(donna obbediente, madre e moglie, donna sessualmente disponibile o tentatrice
ecc…) o quella di essersi sottratta al potere dell’altro. L’atro che di volta
in volta può essere giovane o meno; studente, disoccupato, operaio,
professionista o militare, marito, padre, ex fidanzato, amante o spasimante.
Tutti accomunati da uno stesso modo distorto di concepire il rapporto con gli
altri esseri umani e nello specifico incapaci di realizzare un rapporto di
coppia maturo.
L’azione
estrema di uccidere matura in conseguenza della mancanza di un confronto e di
un colloquio e del riconoscimento dell’altro come essere al di fuori del sé e
degno di valore. Ecco quindi che l’omicidio è compiuto per affermare la propria
identità e la propria forza e per colmare le proprie paure.
Sono
uomini “normali” quelli che compiono questi gesti, in alcuni casi, persone
tranquille, delle quali quasi mai i vicini di casa avrebbero sospettato. Quante
volte abbiamo sentito nei telegiornali le parole “sembrava una famiglia
normale, era un brav’uomo”. Già un brav’uomo, e allora, cosa è successo?
È
successo che il mostro, quel mostro che fa parte di ognuno di noi ha preso il
sopravvento. Quel mostro irascibile che non è mai stato “domato” né “accettato”
ma piuttosto nascosto, che è cresciuto perché si è nutrito di rabbia soppressa,
di discussioni evitate, di confronto fuggito, ecco di cosa si alimenta il
mostro, di tensioni non sfogate, di parole non dette e di pensieri tenuti
nascosti, di egoismo, di volontà di prevaricazione. Poi, ad un tratto esplode così,
all’improvviso, portando a gesti estremi. Forse il più delle volte evitabili
con un percorso di autodisciplina e autocritica, di accettazione dei propri e
altrui limiti e difetti e delle differenze. O forse provando a riscoprire il
significato della parola “amore” da vivere in tutti gli ambiti del quotidiano.
Femminicidio:
Tale termine venne per la prima volta utilizzato per indicare la brutale
uccisione di centinaia di donne avvenuta
a Ciudad Juarez, città a confine tra il
Messico e gli Stati Uniti nel 1992/93. Più di 4.500 donne scomparvero, 650
furono torturate, violentate, mutilate, straziate, sciolte nell’acido e sepolte
vive nel completo disinteresse delle Istituzioni. (La vicenda è diventata di pubblico dominio anche grazie al film
denuncia “Bordertown” uscito nel 2006, diretto da Gregory Nava e interpretato
da Jennifer Lopez, che è anche produttrice, Antonio Banderas e Martin Sheen).
Questi gravi fatti di violenza furono alla base di una condanna a carico dello
stato messicano, nel 2009 quando la
Corte interamericana dichiarò lesi i diritti umani “per il femminicidio di
Ciudad Juarez”.
Ciao, vengo da Kreattiva, mi sto facendo un giro per i blog che ancora non conosco...
RispondiEliminaOra sono follower su GFC (e su bloglovin visto che sembra che GFC chiuderà i battenti a breve) :)
A presto
Non ci sono parole per il male che sta colpendo noi donne!
RispondiEliminaC'è un premio per te sul mio blog :)