sabato 6 ottobre 2012

é uno sporco lavoro ma qualcuno lo deve pur fare...


é uno sporco lavoro, ma qualcuno lo deve pur fare....



Dickens sintetizzava così il lavoro della spia, Ligabue quello del barman …. io definirei così il lavoro del giornalista.
Proprio oggi ho visto in televisione un giornalista fare qualche domanda, piuttosto banale, al padre di Melissa, la ragazza uccisa dalla bomba di Bari. Davanti a certi drammi, a tanto dolore si vorrebbe solo stare in silenzio, piangere e abbracciare le vittime. Ma per il giornalista, prima viene l’informazione, i dati, gli eventi, i numeri. La gente vuole i dettagli, le motivazioni, vuole la descrizione delle scene e degli eventi nel modo più dettagliato possibile.
Ed ecco la spaccatura, il dilemma: cercare l’informazione a tutti costi? Fino a che punto ci si può spingere? Quando ci si deve fermare davanti al dolore? Come lo si può indagare senza perderne il rispetto?
Credo che un buon giornalista debba vivere fino in fondo questa spaccatura, e questi dubbi, perché non viverli, lo renderebbe una macchina, un automa senza anima ne sentimenti, lo renderebbe un pc, che da le notizie, senza pathos, senza sentimento. Un mostro che entra e si intrufola nelle più tragiche storie senza rispetto, calpestando i protagonisti e il comune sentire. Allo stesso tempo, non ci si  può permettere di lasciarsi dominare dalle emozioni, perché un giornalista non è un poeta o un artista, e per tanto non è chiamato a descrivere le emozioni umane e ad emozionare, è chiamato a raccontare e indagare la realtà.
Il giornalista vive in equilibrio, deve lasciarsi innondare dai sentimenti e dalle emozioni, ma solo “fino ad un certo punto”, può lasciarsi trascinare dagli eventi, dall’entusiasmo ma solo “fino ad un certo punto” perché prima di tutto lui è testimone. E i testimoni, si sa, sono quelli che le cose le vedono accadere dall’esterno, non quelli che le vivono. 

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